La caccia è una pratica necessaria che si deve accettare?

di Massimo Vacchetta.

Signor vicepresidente della Regione, Fabio Carosso, le scrivo per esprimere la mia opinione in merito ai fatti di violenza accaduti la settimana scorsa qui a Novello, nei pressi del Centro Ricci La Ninna, il mio ospedale che si occupa di soccorrere e curare i ricci, piccoli mammiferi che come lei saprà sono patrimonio indisponibile dello Stato, cioè ricchezza di tutti. Premetto che sono molto fiero di avere creato una struttura e un'organizzazione che si prende cura di animali in via di estinzione, senza nemmeno chiedere un centesimo allo Stato, tirando avanti solamente grazie alla carità delle persone di buon cuore. Ho ancora il polso, il ginocchio e il collo dolenti a causa delle percosse ricevute la settimana scorsa dai cacciatori con i quali mi sono «confrontato». Come lei ben sa questi signori di opinione differente dalla mia mi hanno aggredito e malmenato per il solo fatto di essermi lamentato del fatto che sparavano troppo vicino alle case, come possono testimoniare diverse persone che hanno assistito all'accaduto...

Non voglio incentrare questa lettera su quello che è il mio pensiero e il mio sentire rispetto alla pratica della caccia, che ritengo un abominio che va contro l'etica e la morale di ogni popolo che vuole definirsi civile, ma su quello che è accaduto quel giorno. Lei ha parlato di uno scontro, quello tra me e i cacciatori, nato da sensibilità, culture e visioni differenti.
Dissento profondamente da questa affermazione in quanto credo fermamente che uccidere gli animali sia una conseguenza non di una «differente sensibilità» ma di una mancanza di sensibilità e di empatia nei confronti di altri esseri viventi che sono senzienti e dotati di un proprio ruolo nel mondo, di una loro identità e dignità che non merita di essere calpestata né nel nome di uno «sport», né nel nome di una mercificazione dei loro corpi per renderne cibo.La caccia è una pratica estremamente violenta, antropocentrica, che alimenta un comportamento crudele e prevaricatorio in chi la pratica, violenza e arroganza che poi si manifesta anche nelle relazioni con i propri simili, come abbiamo potuto constatare. Mi spiace anche dover contraddire, attingendo dalla mia lunga esperienza di veterinario, la sua affermazione per cui la caccia sia una pratica necessaria che si deve accettare.

Necessaria a chi?
All'industria delle armi o allo Stato che beneficia dei proventi legati al rilascio del porto d'armi e della licenza di caccia? Perché una cosa è certa, non abbiamo bisogno di usare le armi né per mangiare né per difenderci da un pericolo come gli uomini della preistoria. Nel caso dei cinghiali, la caccia non serve nemmeno a ridurne il numero degli animali considerati «dannosi», in quanto dai dati dell'Ispra, l'Istituto Superiore per la Protezione Ambientale, risulta che la popolazione dei cinghiali è raddoppiata negli ultimi dieci anni, guarda caso, proprio in concomitanza con l'intensificarsi degli abbattimenti.

Da veterinario so bene che uccidendo la matrona, ovvero la «femmina capobranco», si permette alle altre femmine di riprodursi in maniera incontrollata, perché la matrona ha un ruolo ben definito, che è quello di emettere un feromone che blocca l'estro delle altre femmine del gruppo: la matrona è l'unica che può riprodursi, ma è anche quella che molto spesso viene uccisa per il suo atteggiamento protettivo nei confronti del branco. I cacciatori, quindi, non sono il rimedio alla proliferazione delle specie ritenute invasive, i cacciatori ne sono la causa.

Capisco bene le ragioni dei contadini che subiscono i danni alle coltivazioni da parte degli ungulati, ma allora se la prendano con i nostri politici che invece di stanziare fondi per i risarcimenti, continuano a spendere soldi nella costruzione di inutili piste da sci (che vista la scarsità di neve rimarranno delle opere desuete e inutili nel drammatico deserto della siccità) o a promuovere attività ludiche e futili come i rally e le corse automobilistiche. Inoltre, l'attività venatoria non serve nemmeno a frenare la diffusione della Peste Suina Africana (PSA), che tra l'altro non è una zoonosi - ovvero malattia trasmissibile all'uomo - e per cui i dati parlano chiaro: lungi dall'estinguersi, l'epidemia della PSA si sta diffondendo più che mai sul territorio. Perché? I cacciatori con il loro girovagare per il territorio senza limitazioni diffondono il contagio attraverso scarpe, indumenti e pneumatici contaminati dagli animali vittime della loro pratica. La malattia viene poi amplificata dagli allevamenti intensivi in cui non di rado queste persone mettono piede, dal momento che molti cacciatori sono pure allevatori.

Sono rimasto molto colpito, inoltre, dal fatto che nelle sue affermazioni in merito al grave alterco che ho avuto con i cacciatori, non c'è stata nemmeno una parola di solidarietà nei miei confronti, dato che sono stato picchiato e ho riportato una prognosi di 15 giorni fino ad ora. E non mi pare di avere colto la benché minima preoccupazione per il grave problema dell'incolumità dei cittadini che ora si trovano davanti ad una minaccia costante di carabine che esplodono colpi in grado di freddare una persona ad un chilometro, e quindi ben oltre i 150 metri stabiliti dalla legge. È quindi più importante per voi governanti tutelare uno sport violento come la caccia piuttosto della vita dei cittadini? E non voglio sentire la giustificazione secondo la quale gli episodi come quello di Monticello, dove un proiettile ha colpito una casa rischiando di ammazzarne gli inquilini, sono sporadici.

Episodi del genere sono all'ordine del giorno ormai, grazie al decreto «Far West» approvato dal governo che concede ancora più libertà ai cacciatori, oramai legittimati a sparare ovunque e per tutto l'anno. Cosa vogliamo fare? Attendere che ci scappi il morto? Abbiamo ricevuto migliaia di messaggi di protesta dai cittadini stanchi ed esasperati da questa situazione e tante testimonianze di persone messe in pericolo da battute di caccia troppo vicine alle case. E questo non è altro che la punta di un iceberg perché la maggioranza di coloro che hanno subito violenza e intimidazioni preferisce non parlare per paura di ritorsioni o per sfiducia della giustizia.

Concludo rispondendo al presidente dell'ATC CN 3 il quale sostiene che gli uomini di oggi sono senza anticorpi e «molli» perché a suo pare non hanno più le mani intrise di terra e di sangue come i nostri nonni. I bambini, sostiene, dovrebbero essere portati a vedere come si «prepara» il coniglio dalla gabbia alla padella intrisa di burro e rosmarino ovvero a imparare ad uccidere usiamo la parola giusta un animale per diventare forti.

Da veterinario che ha lavorato per oltre 25 anni negli allevamenti intensivi e nei macelli e che ha visto come vengono trattati gli animali, la loro immensa sofferenza e l'insensibilità di chi li gestisce sono d'accordo con lei: i bambini e gli adulti dovrebbero assistere almeno una volta ad una macellazione o ad una battuta di caccia, non per tonificare corpo e anima, ma per comprendere quanta violenza e crudeltà ci sia dietro queste pratiche.

Vi invito a partecipare alla manifestazione di solidarietà organizzata dal Fronte Animalista per Il Centro Ricci La Ninna l'11 novembre a Novello, dalle 10 in piazza Vittorio Emanuele.

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