Sviluppo, decrescita e "Buen Vivir"

di Aldo Zanchetta e Roberto Espinoza, mininotiziario "Americalatina dal basso".
ImageNel dibattito apertosi internazionalmente attorno alla “decrescita”, una delle obiezioni frequenti, formulata spesso da persone preoccupate di difendere le opinioni di abitanti della “Periferia” (e fatta propria anche da leaders politici di questa stessa area, abbacinati dal mito dello “sviluppismo”), è che il programma della decrescita, assolutamente giusto oggi per noi che abbiamo “ecceduto”, penalizzerebbe i cosiddetti paesi “in via di sviluppo” e “sottosviluppati” ...
 Devo dire che questa obiezione non mi convince e non ho sentito queste risposte convincenti, anche se è vero che molti - anche nella “periferia” - continuano a credere nello sviluppo e reclamano la loro parte. In realtà questa obiezione nasce dalla prospettiva della inevitabilità del nostro modello di sviluppo per tutti i popoli, oggi magari in misura “sostenibile”.

L’errore di prospettiva è proprio quello di considerare il nostro modello di sviluppo come universale e insostituibile (i meno giovani ricorderanno il bestseller dell’epoca d’oro dello sviluppo: “I cinque stadi dello sviluppo economico” di W. Rostow).

L’unica risposta convincente all’obiezione non può che venire dai diretti interessati. Per questo mi sembra importante cercare di condensare un interessante intervento di Roberto Espinoza, indigeno della Caoi (Coordinadora andina de organizaciones indigenas), nel tavolo dedicato al tema “Diversità e cambio civilizzatorio. L’ America latina del XXI secolo” nel III° Forum delle Americhe (Città del Guatemala, 7-12 ottobre 2008). Ecco in breve una sintesi incompleta di alcuni punti del suo intervento.

Respingo decisamente l’idea occidentale di “sviluppo”, fonte di politiche ingannevoli proprio a danno dei paesi della periferia. No allo sviluppo, no a quello “umano” come a quello “sostenibile” o comunque si voglia chiamarlo. All’idea di sviluppo noi controproponiamo l’ideale del “buen vivir”. Cerchiamo di vedere alcuni elementi di questo concetto ...

L’idea del “buen vivir” è presente in molte culture indigene del mondo, ben prima della proposta occidentale dello “sviluppo” e ad essa si ispirano oggi le migliori esperienze indigene e campesine dell’America latina.

Buen vivir significa un rapporto equilibrato con la Pachamama, la Madre Terra. A tal fine, ogni progetto di crescita economica elaborato dai governi deve essere sottoposto alla consultazione dei popoli territorialmente coinvolti e le decisioni devono tener presente il “principio di precauzione”.

Il buon vivere presuppone una relazione di reciprocità fra le persone e non la sfrenata competizione individualista.

Il buon vivere è contrario alla mercantilizzazione dei beni naturali (territori e risorse fondamentali in essi ubicati) e richiede una sospensione operativa dei progetti quando i loro effetti sulla vita delle persone e sul territorio non sono ben chiari (principio di precauzione). Certamente alcune merci devono essere mercantilizzate, ma non tutte le merci sono necessarie.

Noi vogliamo rispettato il diritto di scegliere ciò di cui abbiamo necessità dal mercato. Ma i beni naturali sono beni comuni e non possono essere mai mercantilizzati.

Il territorio è una realtà vivente e unitaria, da rispettare in quanto tale, nel suo insieme. Per cui ogni alterazione deve essere discussa dagli interessati e sottoposta alla loro decisioneNostro compito, oggi, è riscattare i conoscimenti indigeni che sono basati su una visione olistica della vita e della natura.

Nel quadro delle attività economiche la valorizzazione delle economie locali è prioritaria. L’acqua è un bene comune primario e se ne deve garantire a ciascuno una quantità necessaria e gratuita. Elemento fondamentale del buon vivere è il rispetto per la Pachamama, la terra, la natura. Nel buon vivere, la diversità - sia biologica che culturale - deve essere vissuta come ricchezza e non come problema.

Se questi sono alcuni contenuti del buon vivere, essi vanno tradotti in una prospettiva politica all’interno di stati plurinazionali comunitari.

Alcune possibili indicazioni sono:

Accanto ai diritti individuali delle persone si devono riconoscere i diritti comunitari collettivi.

Ne discende che devono esistere ed essere accettate forme di partecipazione politica che non siano limitate ai soli modelli occidentali (ad esempio: nelle comunità indigene che hanno conservato la propria organizzazione, vige il principio delle decisioni prese per consenso e non per voto col meccanismo maggioranza-minoranza ...).

L’obbiettivo da perseguire e tradurre in forme di governo locale e nazionale non è la conquista del potere ma l’introduzione di forme di gestione comunitarie del potere.

No alla statalizzazione delle risorse, si alla loro gestione con autogoverno comunitario.

La definizione di una organizzazione statale basata su 3 livelli di autonomia: autonomia locale, autonomia regionale, autonomia intercomunitaria urbana con partecipazione degli immigrati urbani.

Introduzione delle regole indigene del “comandare obbedendo” e quindi del “principio di revoca” del mandato (come noto, nelle comunità di cui sopra prima si decidono le cose da fare e poi si designano i responsabili. Se questi non “comandano obbedendo” al mandato ricevuto, l’ assemblea li revoca).

Superamento del razzismo tecnologico, ontologico ed epistemologico.

No all’uso della violenza anche quando questa risulta finalizzata a superare gravi ingiustizie. La violenza è una falsa soluzione dei problemi.

Oggi siamo di fronte a una crisi profonda dello Stato e questo offre una opportunità per cambiare i paradigmi dello “sviluppo” con quelli del “buen vivir”.


Questo, in estrema sintesi, il contenuto dell’intervento di Roberto Espinoza, che ringraziamo per avere accettato di chiarire e ampliare il suo breve intervento in un successivo contatto scritto.

Come riflessione personale penso che l’uso dell'espressione “decrescita” che crea rigetti impulsivi non sia stata indovinata, nonostante la sua successiva aggettivazione “felice”.

Un'espressione come “buon vivere” mi sembra più azzeccata e ben recepibile, anche se ci rendiamo conto che una espressione, una volta che sia usata diffusamente, sia difficile da modificare. Torneremo quanto prima su questi temi ampliandoli e approfondendoli. Notiamo solo che l’ espressione “buen vivir” sta trovando sempre più spazio sia grazie al Presidente boliviano Morales, il quale la usa e ne indica alcuni contenuti politici nei suoi incontri di Capo si Stato e sia, ora, con l’ introduzione nella nuova Costituzione ecuadoriana.

E’ probabile che l’ accademia ufficiale, soprattutto quella del nord, sorrida con condiscendenza, nell'esaminare il concetto del buen vivir e che lo consideri come un fatto anedottico della politica latinoamericana.

Non vi è dubbio che, al momento, questa è l’ unica alternativa al discorso neoliberista dello sviluppo e della crescita economica, perché la nozione del sumak kawsay è la possibilità di vincolare l’uomo alla natura in una visione di rispetto, perché è l’ opportunità di restituire l’etica alla convivenza umana, perché è necessario un nuovo contratto sociale in cui l’unità possa convivere nella diversità, perché è la possibilità di opporsi alla violenza del sistema.

Sumak kawsay è l’espressione di una forma ancestrale di essere e di radicarsi nel mondo. Il buenvivir esprime, fa riferimento e si accorda con le richieste di “decrescita” di Latouche, di “convivialità” di Ivan Illich, di “ecologia profonda” di Arnold Naes.

Il buen vivir raccoglie anche, fra le altre, le proposte di decolonizzazione di Aníbal Quijano, di Boaventura de Souza Santos, di Edgardo Lander. Il buen vivir è un altro contributo dei popoli indigeni di Abya Yala ai popoli del mondo e fa parte del suo lungo cammino nella lotta per la decolonizzazione della vita, della storia e del futuro.

Se il concetto del buen vivir è stato ora incluso nella nuova Costituzione ecuadoriana, dal canto suo - già nel 2006 - il presidente boliviano Evo Morales ha usato per la prima volta questa espressione in un documento ufficiale in cui invitava i suoi colleghi latinoamericani ad un vertice politico. Egli scriveva:

La nostra integrazione è e deve essere un'integrazione dei e per i poveri. Il commercio, l'integrazione energetica, l'infra-struttura e i finanziamenti devono essere funzionali alla soluzione dei più grandi problemi della povertà e della distruzione della natura nella nostra regione. Non possiamo ridurre la Comunità sudamericana di nazioni ad un'associazione finalizzata a progettare autostrade o a concedere crediti che finiscono per favorire essenzialmente i settori vincolati al mercato mondiale.

La nostra meta deve essere quella di forgiare una vera integrazione per il "buon vivere". Diciamo "buon vivere", perché non aspiriamo a vivere meglio degli altri.

Noi non crediamo alla linea del progresso e dello sviluppo illimitati a scapito dell'altro e della natura.

Dobbiamo essere complementari e non in competizione.

Dobbiamo condividere e non approfittarci del vicino.

"Buon vivere" è pensare non solo in termini di reddito pro capite ma di identità culturale, di comunità, di armonia tra di noi e con la nostra madre terra.

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