Siamo tutti terremotati ...

di Gigi Sposato.
ImageVenerdì 10 aprile; è circa mezzogiorno, sono in cucina, la Tv parla dei funerali delle vittime del terremoto, il servizio và in onda da L’Aquila. Non so più cosa sto facendo, le mani vanno da sole mentre la mente mi restituisce immagini, assonanze, sensazioni, emozioni in un “unicum “senza soluzione di continuità e mi rivedo nelle varie fasi della mia vita alle prese con i terremoti di cui sono stato testimone attivo o passivo a seconda dei casi. Provo, quindi, a riordinare immagini ed emozioni; comincio dal primo terremoto di cui ho memoria ...

Sono un bambino, ho sette anni, vivo in Calabria sulle Stretto di Messina, zona sismica, è la primavera del 1958 (sono passati più di 50 anni e la memoria non ha tralasciato nulla e tutto mi restituisce con estrema nitidezza). 
Sono a scuola, 2^ elementare. la maestra sta spiegando il verbo essere; è alla lavagna e scrive: “modo Indicativo tempo Pres…” poi un boato, il gesso che si rompe e sulla lavagna una linea spezzata assai simile a quelli che poi imparerò a conoscere come diagrammi dei sismografi. Non capisco cosa succede; mio padre, ferroviere ma pescatore per diletto; mi ha parlato di quelli che, per pescare, invece delle lenze usano le “saponette”. Bombe con cui uccidono i pesci che poi ricuperano e vanno a vendere. La mia mente di bambino pensa ad una “saponetta” e non si spaventa. Almeno così credo, ma finita la scossa, perché di terremoto si tratta, la maestra mi invita ad andare in cucina a bere un bicchier d’acqua. (Non è un errore) mi manda proprio in cucina.
L’aula infatti è ricavata direttamente nella sua casa di abitazione. Protesto che non ho bisogno di bere perché non ho avuto paura … e la maestra. “ avresti dovuto vedere com’eri verde, vai a bere!” sono andato in cucina.

La seconda volta succede solo qualche mese dopo siamo ad agosto del 1959, mia nonna è venuta dalla Lucania perché mia madre aspetta un bambino. Mia nonna non ha mai sentito un terremoto. Sono appena tornato da scuola, siamo a tavola, mio padre mi chiede di accendere la radio perche vuole ascoltare il notiziario delle 13, mi avvicino all’apparecchio, ma non riesco ad accenderlo. Infatti mentre cerco con la mano di agguantare la manopola, (è una di quelle radio dell’epoca, che ancora oggi è possibile vedere nelle fiere o dagli antiquari, con le manopole per accensione, volume ecc ) l’apparecchio inizia ad oscillare da destra a sinistra e a spostarsi dall’alto in basso come in preda ai singhiozzi.

Mia nonna urla spaventata, ma io ancora una volta non mi spavento più di tanto o almeno credo. Poi non ho ricordi particolari fino al servizio militare. Ad eccezione di un giorno di scuola in terza superiore Istituto Tecnico Commerciale: Un’altra scossa;  la corsa fuori dall’aula e l’urlo di un compagno ad un altro che scappa per la scala, “non andare per le scale … è più pericoloso, … mettiti sotto un trave ed aspetta”.
Ed ancora; l’insegnante d’Italiano. Si chiama Brescia ed è di Taranto, le chiedo se ha avuto paura, mi dice che si l’ha avuta, ma per i suoi due bambini. Le chiedo l’età dei figli. Non ricordo più con precisione la risposta, ma ricordo che entrambi avevano più di vent’anni. Era la primavera del 1968. Sono trascorsi più di 40 anni.

Poi viene il servizio militare, frequento il 69^ corso AUC ad Ascoli Piceno, è l’imbrunire di una sera di inizio gennaio, giuoco a ping-pong con un altro allievo del corso precedente, quando il tavolo comincia a spostarsi ed il mio avversario si da alla fuga andando a sbattere contro la porta a vetri che separava il tavolo su cui giocavamo dal resto dello spaccio. Più tardi arriva il Tenente che comanda il mio plotone; “servono dieci volontari, fuori la terza squadra!!!”.  E mi ritrovo nel campo sportivo del “Del Duca Ascoli” (squadra di calcio che milita in serie A), a piantare tende. Più in là altri militari allestiscono una cucina da campo ed altri tirano su una tenda Ospedale, anche quella volta infatti, come ora in Abruzzo, una parte dell’Ospedale è inagibile e bisogna spostare gli ammalati.
Mentre piantiamo le tende accadono due episodi che possono dare il senso di cosa accade in quei frangenti. All’improvviso una forte luce si accende alla mia sinistra; … sono contento. vedo molto meglio, picchio con più forza sul paletto che reggerà la tenda. Poi si spegne così come si era accesa. Scoprirò più tardi che era la televisione. Me lo dirà una zia che mi aveva riconosciuto in quella ripresa e si era tranquillizzata. Non me ne ero accorto. L’altro episodio accade subito dopo; abbiamo finito di issare l’ennesima tenda, salutiamo chi si appresta ad occuparla e facciamo per andare altrove, quando una ragazzina dall’apparente età di 14/15 anni, con voce resa esile, non so se dalla paura o piuttosto dalla dignità, mormora: “ma così restiamo al buio”, mi fermo un istante, poi tiro fuori dalla tasca della tuta mimetica la mia lampadina tascabile e gliela porgo.
“Grazie!”. Dice la stessa voce esile. Non ci siamo più rivisti, ma ho ancora negli occhi lo sguardo di riconoscenza che mi rivolse assieme a quel grazie. Era il gennaio del 1973 sono passati 36 anni.. Nell’estate di quello stesso anno quando sono già sottotenente e sono di stanza in Friuli. (qualche anno dopo anche qui un sisma raderà al suolo intere città e farà ancora tante, troppe vittime) Ad inizio luglio arriva l’ordine di spostarsi a L’Aquila per un’esercitazione cui presenzierà il Capo di Stato Maggiore. Ci resto con il mio battaglione per 15 giorni ospite della Caserma della Divisione Julia; ho così modo di conoscere la città, i suoi monumenti ed i suoi abitanti attivi e fieri, di cui rispetto il grande dolore di oggi, del tutto diversi da quelli che in questi giorni ci mostra la Tv, ed a cui forse qualcuno dovrebbe porgere delle scuse per un ritratto non vero.

Ho scritto queste cose perché possono aiutare a capire cosa succede in quei momenti, ma soprattutto per dire che così come i miei ricordi, di avvenimenti comunque meno gravi, testimoniano di quanto siano profonde le ferite che può infliggere un sisma, e di come purtroppo a quella gente non basterà forse una generazione per dimenticare i loro morti e le loro sofferenze e questo pensiero mi rende oggi, forse più di allora, un “terremotato”.

E da terremotato chiedo:
“Com’è possibile che un sisma, tutto sommato, non tra i più forti abbia potuto causare tutte queste vittime?”

“Perché edifici costruiti anche in epoche assai recenti e in zone che si sapevano a rischio sismico sono venuti giù come castelli di sabbia?”

Perché edifici che avrebbero dovuto, per la loro stessa natura, essere un punto di riferimento (Prefettura, Tribunale, Ospedale ecc) non hanno invece retto all’onda d’urto?”

“Perché, nonostante quanto accaduto a San Giuliano (con tutti quei morti in una scuola)
le strutture Universitarie e la casa dello studente si sono letteralmente sbriciolate?”

“Quante scuole ancora non sono in regola nelle varie “zone a rischio”, e non solo sismico, di questo nostro “Bel Paese”?.

A questi interrogativi occorrerà dare una risposta al più presto; accertando, soprattutto per il sisma abruzzese, eventuali responsabilità penali di costruttori e controllori.
Questo chiedo da “terremotato” … almeno questo è dovuto ai superstiti ed alla memoria delle vittime.

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