Storie di ordinario razzismo nella Asti del 2010

Imagedi Giovanni Pensabene.

Domenica 4 luglio, ore 14 circa, accompagno mio figlio al Pronto Soccorso per una contusione molto dolorosa al ginocchio. Intanto che parcheggio mio figlio passa al “triage” dove gli viene assegnato il codice bianco, di fatto una non urgenza, e si accomoda in sala d’attesa dove lo raggiungo dopo qualche minuto. Intanto che aspettiamo apprendo dal monitor appeso in sala d’attesa che in quel momento ci sono 55 pazienti al Pronto Soccorso di cui 49 già in trattamento e 6 in attesa, 2 codici verdi e 4 codici bianchi ... 

Dopo circa venti minuti mio figlio viene chiamato per la prima visita e da lì inviato a fare la radiografia. Per ingannare l’attesa vado fuori a fumare, mentre sto rientrando sento un vociare altissimo e 2 persone (padre e figlio, suppongo) inveire contro le infermiere accusandole di fare favoritismi (non capisco a favore di chi) e, brandendo “La Padania” a mo’ di clava, minacciarle che non sarebbe finita lì perché “adesso i tempi sono cambiati”.

Ci incrociamo alla porta e ci guardiamo con reciproco disgusto (il mio motivato dallo show messo in atto dai due, il loro in quel momento mi è ancora ignoto); i due accompagnano una signora (moglie e madre ?) abbastanza imbarazzata dal bailamme creato dai “suoi” uomini. Dopo qualche minuto mi ha raggiunto mia moglie chiedendomi cosa avevo combinato perché aveva incontrato per le scale 2 uomini e una donna e i due sbraitavano contro di me che “passavo davanti agli altri solo perché si chiama Pensabene”.

A questo punto  decido di “rintracciare” i 2 signori (si fa per dire) e chiedere conto del loro sbraitare contro di me.

Quando li ho raggiunti, seguendo l’eco delle loro urla per strada, dopo aver sbrigato un breve ma intenso e colorito scambio di “convenevoli”, hanno prima negato di aver fatto il mio nome e subito dopo, pensando di scuotere mortalmente la mia autostima, mi hanno dato del “calabrese”.

L’insucceso di questo primo temerario attacco verbale li ha condotti ad un maggior dettaglio, per cui sono subito diventato “calabrese di merda”, “mafioso” e quindi invitato a tornarmene a casa mia.

Ho ritenuto superfluo intavolare una discussione storica con i 2 e ricordare loro che, ricorrendo quest’anno il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ero esattamente a casa mia ad Asti come in Calabria. Li ho invitati a riportare a casa la signora che mi sembrava sufficientemente scossa e ho dato loro la disponibilità ad uno scambio di vedute, anche meno amichevole, in altro momento.

Mentre mi allontanavo i 2, forse ringalluzziti per la distanza che si era di nuovo creata,  riaprivano il loro repertorio e mentre il più giovane  mi faceva ripetutamente il gesto dell’ombrello e mi indicava con insistenza i propri genitali, forse a voler declinare  indirettamente le sue generalità, il più anziano mi accusava di “aver mangiato mezza Asti”.

Voglio invitarli ad esplicitare, magari rispondendo a questa mia, le loro accuse firmandosi ed avendo così l’opportunità di ricavare soddisfazione legale di questi loro convincimenti.

Chiudo il resoconto di questo pomeriggio afoso facendo pervenire la mia solidarietà alle infermiere del Pronto Soccorso (di cui ignoro il nome, così come loro ignoravano il mio) che fanno fronte, con gentilezza e professionalità, anche a situazioni sgradevoli come quella raccontata.

L’ultima considerazione amara è che è la prima volta, da quando mi sono trasferito in Piemonte per studiare nel lontano 1980, che vivo direttamente sulla mia pelle un episodio così sgradevole di “razzismo” (?): forse è un segno dei tempi che faremmo bene a non sottovalutare.

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