L’isola che non c’e’

di Paolo X Viarengo.

Chissenefrega. Lo ammetto, pensavo chissenefrega mentre, dietro ordine di mia moglie, ascoltavo se mio figlio, come aveva spergiurato più volte, avesse effettivamente studiato geografia. Parlava. Parlava. Parlava di mari. Oceani lontani. Invasi dalla plastica. Infarcendo il discorso con termini inglesi e spropositati chilometri quadrati. E io lo guardavo, orgoglioso, e pensavo a quando ancora non sapeva parlare. E io pensavo, come passa il tempo. E’ già così grande. E io pensavo, chissenefrega degli Oceani, sono lontani. Cosa gli faranno mai studiare?...


Poi, all’improvviso, una frase colpì il mio cervello fino a quel momento assorto in altri pensieri: ”Sai, papà, questa plastica ce la mangiamo pure noi”. La frase mi incuriosce ma lo lascio terminare la sua enunciazione.  Degna, a questo punto, dell’aggettivo "dotta".  
Appurato che non aveva spergiurato e che, per quella volta, aveva effettivamente studiato, lo lasco libero di giocare alla playstation.  Attendo pazientemente che vada a dormire e poi mi metto a cercare. A smanettare sul Pc. E mi imbatto in una storia strana. La storia di un velista di nome Charles Moore che, nel 1997, si è trovato a navigare tra la California  e le Hawai ed ha raccontato di essersi trovato in un mare non più composto di acqua. Composto di plastica. Una sterminata distesa di bottiglie. Bicchieri. Boe. Reti da pesca. Polistirolo. Pellets. Ciarpame. Immondizia. Di plastica. Tutto di plastica. A perdita d’occhio, Fino all’orizzonte ed oltre tanto che gli ci vollero parecchi giorni di navigazione per portare il suo catamarano fuori da quella immensa discarica galleggiante.

L’hanno chiamata Pacific Trash Vortex e fu la prima che scoprimmo. Poi fu la volta della altre. Almeno una o due per ogni oceano. Nel Pacifico oltre alla prima scoperta, oggi soprannominata anche Great Pacific Garbage Patch, vi è anche la South Pacific Garbage Patch posta, come dice il nome, più a sud. Nell’Atlantico c’e’ la North Atlantic Garbage Patch, che con i suoi 40 milioni di chilometri quadri (quaranta milioni di chilometri quadri!... ma ci torneremo) è la seconda per estensione.
Nel Sud Atlantico c’e’, ovviamente, la South Atlantic Garbage Patch. Nell’Oceano Indiano c’e’ la Indian Ocean Garbage Patch. Vicino all’artico c’e’ la Artic Garbage Patch e anche  noi abbiamo la nostra, tra il Tirreno e la Corsica.

Praticamente in ogni mare, in ogni Oceano c’e’ un isola di plastica. Così sono chiamate: Isole di Plastica. Nel 2006, un gruppo di avvocati americani, propose di dichiarare territorio libero l’isola di plastica scoperta da Charles Moore. Si parla di un'estensione pari a tre volte la Francia, quindi ci stava un bello stato sovrano. Peccato che nemmeno un centimetro dello spropositato numero di chilometri quadrati d’immondizia che la compongono sia calpestabile.
Le isole di plastica non sono isole vere e proprie e non è così semplice stabilirne la reale estensione: sono, in realtà mareggiate. Come quando siamo al mare e al mattino, dopo la burrasca della notte, troviamo il mare sporco. Con alghe, plastica ed immondizia che galleggia sopra e si deposita parzialmente sulla spiaggia.

Immaginate il nostro bel litorale, sporcato da una mareggiata, metteteci dentro ogni tipo di immondizia che vi viene in mente e moltiplicatelo per milioni e milioni e milioni e milioni, e ancora milioni e milioni di volte e, capirete cos’e’ un isola di plastica.

Ma, non è ancora questo che mi ha dato i brividi che tutt’ora mi corrono lungo la schiena. Ora ho capito che abbiamo in ogni oceano, a nord ed a sud, un posto in cui le correnti marine accumulano tutto il ciarpame che viene gettato in mare. O che vi cade accidentalmente come, ad esempio, i container che cadono dalle navi che li trasportano quando incappano in tempeste, e che costituiscono una buona percentuale dell’immondizia delle isole di plastica. Specie quelle del Pacifico dove, a dispetto del nome, le tempeste sono molto più frequenti. Ma, prima dei container, la stragrande maggioranza dei rifiuti che costituiscono le isole di plastica sono costituiti da attrezzi da pesca. Normale, ho pensato, non considerando un’altra cosa. In mare ci finiscono, statisticamente, anche i nostri, di rifiuti. I nostri di gente di terra. Perché  allora questi ultimi non si trovano e si trovano per lo più attrezzi da pesca?

Semplice, perché le reti e le boe sono fatti per resistere al mare. I nostri no. Non è vero che la plastica è un materiale indistruttibile. E’ un materiale che si dissolve, invece, molto facilmente essendo fotodegradabile, cioè reagisce alle radiazioni ultraviolette. La luce la disintegra piano piano. E, di luce, sul mare ce n’e’. Eccome. Disintegra la plastica non creata per resistervi e lascia scagliette microscopiche. Ma, sempre, di plastica.
Queste scagliette sono grosse come il plancton che è alla base della catena alimentare marina. Queste scagliette si muovono come il plancton, spostate dalle correnti. Queste scagliette assomigliano talmente al plancton che i pesci che si cibano di plancton si cibano anche delle scagliette.
E, questo davvero mi ha  fatto venire i brividi.

Io butto la plastica in mare. Questa si riduce a grandezza microscopica e viene mangiata dai pesci. Io pesco i pesci che hanno mangiato la plastica e li mangio. Io pesco i pesci che hanno mangiato la plastica e ne faccio mangime per il bestiame che poi mangio. Ne faccio concime per le mie piante che, poi, mangio.
Io, umanità, faccio questo. Il problema vero non sono le isole di plastica che di per sé sono già un bel problema, ma per parafrasare Peter Pan, il problema vero è l’isola che non c’e’. I milioni di tonnellate di plastica che non vediamo più nel mare. Ma che ci sono. Sotto forma di scagliette. Invisibili ad occhio nudo. I milioni di tonnellate di plastica che non galleggiano perché non studiati per il mare ma per la terrra e che sono affondati.

Sul fondo degli oceani si stima ci sia una concentrazione simile, se non superiore, a quella in superficie. Abbiamo reso il mare un'enorme distesa di immondizia che si addensa, ogni tanto in certi punti di superficie ma che, uniformemente, ne sta ricoprendo i fondali. E, per ironia della sorte o legge del contrappasso, questa plastica ce la stiamo mangiando.
Tutti.

E' tardi. E’ notte fonda, ormai. Ho sonno. Freddo. Schifo. Prima di andare a letto passo davanti alla stanza di mio figlio che oramai dorme.
Ma che accidenti di mondo gli lascio?
Mormoro fra i denti “scusa figlio mio”, mentre raggiungo mia moglie a letto...

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