Della spiccata personalità delle zucche

Cronachetta di balcone fiorito da leggere quando fuori gli alberi dormono. di Daniela Grassi.
ImageAll’inizio dell’estate mi hanno regalato due microscopiche piante di zucchette decorative, appena due fogliette verdissime per piantina. Le ho trapiantate entrambe in un grande vaso e loro, giorno dopo giorno, sono diventate sempre più lussureggianti, vivaci e ricche di belle foglie e di grandi fiori gialli ...

Poi, ad un certo punto, una delle due si è stabilizzata e si è come concentrata su se stessa, mentre l’altra ha salutato allegramente ed è partita per un viaggio tutto suo, cominciando ad inerpicarsi per la ringhiera del balcone, curiosa del mondo ed entusiasta, quasi volesse raggiungere gli alberi del giardino di fronte ...

Evidentemente le due piante erano di carattere differente, come spesso accade tra sorelle, e la prima, posata e riflessiva, ha deciso di mettere su famiglia.
Ha provato ad ingrossare una zucchetta, poi un’altra, ma le ha perse strada facendo: arrivavano fino ad un certo punto, poi impallidivano e cadevano miseramente ai piedi della madre, esangui e rinsecchite. Un triste spettacolo.

La seconda pianta invece, continuava a dimostrarsi dotata di una vitalità esuberante e stupefacente: oltre a sfornare continuamente fiori per la delizia delle api , delle vespe e dei bombi, che ronzavano senza tregua tanto tra le sue grandi corolle giallo sole quanto tra quelle profumate dei garofani, delle roselline e della minuta lavanda o tra quelle color notte dell’aquilegia, si allungava di giorno in giorno e quasi di ora in ora.

Nel pieno dell’estate, dal mattino a mezzogiorno si notavano le variazioni del suo cammino e, mentre la sorella s’era arrampicata il minimo indispensabile e si era allargata in una specie di alberello, lei lanciava agilmente i pampini e non solo s’arrotolava al tratto di ringhiera a cui decideva d’appoggiarsi ma, come se avesse avuto occhi, allungava abilmente i filamenti fino ad ancorarsi ai supporti metallici delle fioriere, cambiando direzione secondo un suo percorso interiore che dava da riflettere. Difatti, si pensava guardandola procedere come una scalatrice agile ed esperta che osservi gli appigli sulla parete sopra e intorno a sé, come fa questa piantina sinuosa a sapere che a otto, dieci centimetri da lei c’è il sostegno giusto su cui lanciare, simile ad un lazo, il pampino prensile e tenace che ancora deve far crescere e che proprio lì si aggancerà e arrotolerà senza più mollare la presa?  Perché è evidente, il saper distinguere che alla tua destra o sinistra, distanziato da te c’è un oggetto abbastanza sottile, ma anche abbastanza forte, da poterti dare appiglio e sostenerti, e il prendere la decisione di far crescere in quella direzione un tuo organo preposto allo scopo, è una cosa ben differente dallo scegliere una direzione perché di là ci sono più luce o più o meno calore.

Nel frattempo, accanto a tutto questo grande e spettacolare lavorìo, l’altra pianta, con la sua bella chioma ad alberello, silenziosa e tenace, continuava a immaginare figli, finchè dalla base di un grande fiore dorato, è riuscita ad ingrossare una minuscola zucca e a nutrirla con cura ed attenzione, al riparo d’una foglia, come in una nursery confortevole.
Qui la crescita si notava appena: ci sono volute settimane, tra calori improvvisi, temporali violenti, brevi ed improvvisi autunni d’Agosto, repentini e umidi ritorni d’estate, perché il frutto inturgidisse, si colorasse dello stesso giallo del fiore, si riempisse di gobbette e di fossette minuscole, s’appoggiasse al terreno caldo e finisse di maturare.

Era già autunno e la pianta aveva ormai le foglie stinte e ricoperte di muffa quando, torcendone il picciolo con un gesto dolce, la zucchetta gialla se ne è separata senza far resistenza.
Nel giro di pochi giorni, come appagata dal risultato raggiunto e avendo trasferito la sua eredità in nuovi semi, la pianta si è seccata definitivamente, quasi rilassandosi e abbandonandosi ad un meritato sonno, nella fine del suo impegnativo ciclo vitale.
E l’altra? L’altra ha dimostrato tutt’altra personalità fino alla fine.

Giunta la fine di ottobre, a concentrarsi su di una zucchetta non ci aveva nemmeno pensato, ma aveva traversato l’intero balcone e, sebbene ormai spelacchiata ed ingiallita lungo tutto il lunghissimo fusto, come una principessa fuggita da Shangrilà, manteneva sulla punta estrema un pennacchio verde e vivace che succhiava con forza nutrimento dalle lontanissime radici: eravamo quasi ai Santi quando ha aperto nel sole il suo finale, giallissimo fiore e lanciato nell’aria l’estremo, sbarazzino pampino ricciuto: come una diva d’altri tempi, non ha rinunciato a stare sul palco e a dare spettacolo fino all’ultimo, nel suo esotico costume di scena.

Intanto, nel tepore della casa, passava il tempo e la zucchetta nata dalla sorella, sempre più leggera, cominciava a suonare come una piccola maraca dei mille semini d’una futura generazione: appesi all’albero di Natale nella loro culla infiocchettata, attendevano, come tutti i bambini, la magia di una notte fatata.

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