L’educazione che ci rende umani. Prevenzione della violenza per un mondo migliore

Intervento introduttivo dell'incontro del Coordinamento donne Acli Piemonte tenutosi a Cuneo lo scorso 22 novembre, a cura di Daniela Grassi.

Quest’anno abbiamo scelto di estendere la riflessione legata alla giornata del 25 novembre ad argomenti che vanno oltre la prevenzione della violenza sulle donne perché è chiaro che le violenze si nutrono e si generano tra loro e spesso, avvolti da un continuo vortice di pessime notizie, ci troviamo a chiederci con sgomento da dove scaturisca il nostro specifico positivo, ciò che definiamo “L’umano”. E poiché necessitiamo di concretezza, per non farvi perdere tempo e per non pronunciare parole a vuoto, ho deciso di rivolgermi a fonti che amo e di farmi accompagnare in un comune e auspicato cammino, da una voce maschile e da due femminili...

Il nostro primo compagno sarà il teologo Vito Mancuso, vi leggo quindi alcuni passi tratti da un suo articolo dal titolo “L’arte di vivere da esseri umani” (La Stampa, 22.08.2023).
L’autore esce da una settimana di ritiro spirituale che ha guidato con un padre cappuccino e a cui hanno partecipato persone di diverse culture, imparando l’ascolto reciproco attraverso il silenzio, ponendo molta attenzione al respiro consapevole e al controllo della mente. Ma tornando nel mondo, il rientro è estremamente crudo: in una settimana sono molti i fatti di cronaca più efferati che sono accaduti e di fronte a ciascuno di essi, Mancuso si chiede, pensando a coloro che li hanno agiti: in che stato era la sua mente?
Scrive Mancuso: “La mente vaga e fugge chissà dove, e qui non c’è più, perché non vede più quello che tutti vedono e non sente più quello che tutti sentono. (…) La mente impazzita. Direi anche la mente malata, preda di quella violenza incontrollata che attraversa le nostre città (…) Abbiamo già perso del tutto la cognizione dell’arte del vivere da esseri umani? L’abbiamo mai avuta? Che cos’è l’essere umano?”.

In seguito, fa riferimento agli adolescenti, dei cui problemi si sente raccontare dagli insegnanti: deficit di attenzione, lessico scarno, divisione in bande: “I nostri ragazzi hanno bisogno di imparare l’arte di vivere ma nessuno gliela insegna più. Le loro menti vengono riempite di nozioni di cui non hanno bisogno e lasciate senza gli strumenti esistenziali di cui hanno necessità vitale. Hanno bisogno di educazione, gli viene data (quando va bene) solo istruzione. Come se a un assetato che chiede acqua si dessero sabbia e cemento. Ma cos’è l’essere umano?”.

Dopo aver citato varie definizioni ecco che si arriva al famoso Homo homini lupus contrapposto però a Homo Homini deus. “Chi ha ragione? (…) Ben lungi dal voler fare la morale, io solo constato la grande crisi della morale e di conseguenza dell’umanità. Le due cose infatti sono strettamente correlate, perché l’essenza specifica dell’essere umano che lo distingue da tutti gli altri viventi è proprio il suo essere un agente morale. Vale a dire: quello che fa un cane lo decide la sua natura, quello che fa un essere umano lo decide la sua cultura. La cultura non è erudizione (…) ma quello che resta una volta dimenticati tutti i libri e tutti i dati, e che fa agire in modo retto, giusto, gentile. Cioè, in modo educato, laddove educazione non è galateo ma è formazione integrale e rettitudine della mente, come nel concetto greco di paideia, nel tedesco Bildung, nell’inglese Education. Chi agisce in modo moralmente responsabile è un uomo colto, cioè coltivato e la sua interiorità produce frutti buoni. Chi agisce irresponsabilmente è un incolto, lo è anche se ha letto migliaia di libri e sa parlare ben, perché la sua interiorità produce spine e funghi velenosi. Io non so se dietro la quasi totale assenza di educazione morale nella nostra società vi sia un disegno. Talora però lo sospetto. (…) Quando mi prende il sospetto che questa assenza dell’etica sia voluta, ripenso a queste parole di Hanna Arendt:  “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto (…), ma l’individuo per il quale la distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso, non esiste più.” (…) [Oggi] sono le persone che hanno perso cognizione del reale e la cui mente è in balìa di finzioni e virtualità di ogni sorta. Persone il cui io virtuale, cioè quello che vorrebbero essere in basse a quanto viene loro inculcato da pubblicità e fiction, è molto più forte del loro io reale, cioè di quello che di fatto sono: il che le porta a essere del tutto sconnesse dalla realtà e in balìa dei ciarlatani e soprattutto dei loro fantasmi interiori.
Una cosa comunque alla fine mi è chiara: noi non abbiamo un’essenza definita dalla natura, ma siamo ciò che esprime la nostra cultura. Il che ci rende al contempo peggiori e migliori delle bestie, lupi feroci e simili agli dei. Tutto in noi dipende dalla cultura, in quanto capacità di azione morale. E questa cultura dipende dall’educazione della mente. Ne viene che, o mettiamo al centro dei programmi sociali e politici l’educazione della mente (a partire dalla sua capacità di attenzione e concentrazione) o il baratro verso cui sprofondiamo  si allargherà sempre di più. (…) Qualcosa a proposito, nelle nostre scuole e nella programmazione culturale della società bisognerebbe escogitare.”

Ed ecco la nostra seconda compagna di viaggio, bella e sorridente. Forse ricorderete questa donna, si tratta di Agitu Ideo Gudeta, se la cercate in rete troverete immediatamente per lei queste due definizioni: “imprenditrice e ambientalista”. Nativa di Addis Abeba aveva dovuto fuggire dall’Etiopia nel 2010 dopo essersi battuta contro l’accaparramento delle terre da parte del governo del suo paese ed era tornata in Trentino dove anni prima aveva studiato sociologia per stabilirsi infine in una valle molto chiusa a chi proveniva dall’esterno, la valle dei Mocheni. Qui, seguendo gli insegnamenti di sua nonna, con grande coraggio, poiché era donna, di colore e straniera, aveva avviato un progetto “La capra felice”. Produceva formaggio biologico e prodotti cosmetici derivati dal latte delle sue amate capre e, nel rispetto dell’ambiente, delle creature e di tutti, stava preparando una struttura dove dare ospitalità a chiunque volesse raggiungerla e lavorare con lei. Aveva ricevuto riconoscimenti e in molti avevano imparato ad apprezzarla e ad amarla ma, la sera del 29 dicembre del 2020 è stata uccisa a martellate da  un lavoratore stagionale da lei assunto e proveniente dal Ghana.

Cosa ha mosso quest’uomo a un tale atto e a rovinare innumerevoli vite poiché, oltre ad assassinare Agitu e distruggere se stesso, ha lasciato senza sostentamento e in una posizione sociale molto difficile la sua famiglia in Africa, quella famiglia per cui era giunto fin tra le montagne del Trentino? In che stato era la sua mente, dove era fuggita? Si potrebbe pensare alla completa perdita del senso dell’umano, al non sostenere di essere sottoposto ad una donna, a quell’essere schiavi della propria incultura di cui si parlava prima. Non lo sappiamo, ma nella valle dei Mocheni, Agitu aveva seminato bene, aveva “educato” con il suo esempio di fiducia e coraggio, ad aprirsi: il suo gregge è stato rilevato da un giovane pastore perché non andasse al macello, innumerevoli progetti si sono aperti nel nome di questa donna coraggiosa e quello legato ai cosmetici è stato rilevato da un’associazione che ha sede nel pavese, che si occupa di donne in difficoltà e ha un nome bellissimo: “La corte delle Madri”. Quindi il senso dell’umano, perso in un uomo che probabilmente è vittima egli stesso, ecco che rinasce, torna faticosamente a sbocciare.

E ricollegandoci all’amore per il creato, ci viene incontro la nostra terza compagna di viaggio, Chandra Livia Candiani, una poetessa che ha avuto un’infanzia molto difficile da cui poteva uscire distrutta nella sua umanità. Rinata grazie all’incontro con la meditazione, mette al centro della sua opera il senso della meraviglia e lo insegna ai bambini nelle scuole delle periferie di Milano. Le sue lezioni iniziano sempre con qualche minuto di silenzio e di ascolto e voglio concludere con una sua breve poesia:
Grande albero/ come ti vedo bene/ perché non sei me/ felice che siamo due/ che forse non ci capiamo/ che sei fermamente bello/ che forse non mi vedi/ che ci sentiamo/ che facciamo vita./ Sono così felice/ che siamo due/ e non voglio fare uno./ Amico mio.
(Chandra Livia Candiani, La domanda della sete 2016-2020, Torino, Einaudi 2020).

Ecco, l’umano nasce là dove c’è rispetto dell’altro nella relazione, quando si è compreso che la felicità è nell’essere due, differenti, partecipando della stessa realtà. E questo è quello che auguro di comprendere e di incontrare a tutte e tutti noi.

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