Gaza e la Convenzione ONU sul genocidio

di Domenico Massano.

Le parole hanno un ruolo centrale nell’ambito dei processi dialogici che informano le relazioni umane e che stanno alla base delle nostre democrazie. È quindi importante ribadirne il senso ed il significato perché possano alimentare un dibattito pubblico ed un’azione politica critici e responsabili senza essere né silenziate, né manipolate, né strumentalizzate.
Genocidio è una parola attorno al cui uso, soprattutto in questi ultimi tempi, pare emergere un alto tasso di ambiguità, di confusione, di arbitrarietà con il rischio di un uso improprio come sinonimo di una violenza inammissibile e imperdonabile, di stragi particolarmente feroci. Bisogna anche tener conto che se la Shoah è stato l’evento storico che ha portato alla luce il concetto e il termine di genocidio, ed inevitabilmente ne ha rappresentato e rappresenta tuttora un inevitabile riferimento, a volte c’è anche, però, il rischio di paragoni e confronti affrettati e non sempre corretti...

Nell’uso di questa parola, quindi, si dovrebbe principalmente guardare alla definizione che ne è stata data nella Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, il primo trattato sui diritti umani approvato dalle nazioni Unite il 9 dicembre 1948, seguita, il giorno successivo, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, e con cui rappresenta uno dei pilastri del progetto di rifondazione di quei princìpi e valori che erano stati calpestati e distrutti nel corso del conflitto mondiale.

La Convenzione all’articolo 2 specifica che:

“Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale:

a) uccisione di membri del gruppo;

b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;

c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;

d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;

e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.

Nell’applicare questa definizione all’attuale tragedia che si sta consumando a Gaza vi è un importante riferimento rappresentato dalla recente Ordinanza della Corte Internazionale di giustizia (il principale organo giudiziario dell’ONU), del 26 gennaio scorso, a seguito della presentazione da parte della Repubblica del Sud Africa di una domanda di avvio di procedimento contro lo Stato di Israele per violazioni degli obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio nella Striscia di Gaza

Un pronunciamento che è passato quasi sotto silenzio in Italia come in molte altre “democrazie occidentali”, nonostante sia articolato ed esaustivo, ed in cui, pur concentrandosi sulle responsabilità di Israele nella tragedia che si sta consumando a Gaza, si ripercorre quanto accaduto dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, con dovizia di dati e dichiarazioni di politici, militari e rappresentanti di organizzazioni internazionali, con un richiamo anche agli obblighi del diritto umanitario per quanto riguarda la sorte degli ostaggi israeliani.

La Corte nell’ordinanza riconosceva la plausibilità della commissione da parte di Israele di atti che costituiscono violazione della Convenzione sul genocidio (par. 54) e riconosceva altresì l’esistenza di un rischio reale e imminente di danno irreparabile, in particolare, al diritto dei Palestinesi a Gaza di essere protetti da atti di genocidio e atti vietati correlati (par. 74).

Sulla base della plausibilità della prospettazione del crimine di genocidio e per impedire pregiudizi irreparabili, prima che «la catastrofica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza rischi seriamente di deteriorarsi ulteriormente» la Corte stabiliva, inoltre, l’applicazione di misure cautelari tra cui, in particolare, l’astensione da ogni ulteriore atto che possa costituire genocidio e l’adozione di misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le avverse condizioni di vita dei palestinesi nella Striscia di Gaza.

L’adempimento di tali misure, come sottolineato da Magistratura Democraticacostituisce un vero e proprio obbligo internazionale per lo Stato di Israele, ma anche per tutti i 153 Stati aderenti alla Convenzione (tra cui l’Italia), che debbono adoperarsi perché la sentenza della Corte venga effettivamente rispettata”, garantendo l’attuazione delle misure provvisorie ed impiegando tutti i mezzi ragionevolmente disponibili per prevenire il crimine di genocidio.

Purtroppo bisogna rilevare che ad oltre un mese di distanza, questa ordinanza sembra essere rimasta inascoltata da Israele (e parallelamente non pare ci sia stato un adeguato impegno da parte del nostro Governo e di quelli di molte altre “democrazie occidentali” per garantirne il rispetto).

Lo confermano diverse associazioni umanitarie e per i diritti tra cui Human Rights Watch, Medici senza frontiere, AOI, Save the Children, Rete Italiana Pace e Disarmo ed Amnesty International, le cui dichiarazioni sono molto chiare: “Un mese dopo che la Corte internazionale di giustizia aveva ordinato “misure immediate ed efficaci” per proteggere la popolazione palestinese della Striscia di Gaza occupata dal rischio di genocidio, Israele non ha fatto neanche il minimo passo per ottemperare all’ordine”.

Lo conferma tragicamente anche la recente strage del pane, in cui 114 persone sono morte e oltre 760 sono rimaste ferite dopo che l’esercito israeliano ha aperto il fuoco su migliaia di palestinesi alla fame che si accalcavano attorno ai camion di aiuti umanitari a Gaza. La strage si è verificata in un contesto sempre più preoccupante ed in cui, secondo le Nazioni Unite, almeno 576mila persone, pari a un quarto della popolazione, deve affrontare livelli “catastrofici” di insicurezza alimentare.

Il 26 gennaio scorso la Corte internazionale di giustizia, seppur in attesa di un pronunciamento definitivo, evidenziava l’esistenza di un rischio “reale e imminente” di un “danno irreparabile” per la popolazione di Gaza e riconosceva la plausibilità della prospettazione del crimine di genocidio. Oggi, a distanza di oltre un mese da questa importante ordinanza e in una situazione che va progressivamente deteriorandosi, parlarne, nei termini definiti dalla Convenzione e dalla Corte Internazionale di giustizia, non solo continua ad essere plausibile e ragionevole ma, forse, è anche opportuno per mantenere alta l’attenzione a livello sociale e politico su quanto sta accadendo e sollecitare un fermo intervento istituzionale (nazionale ed internazionale), quantomeno per “consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria” e per prevenire ulteriori “danni irreparabili” per la popolazione.

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