Massaia: chi era costui?

di Gianfranco Monaca.

Nel 2003 Asti inaugurava il nuovo Ospedale e lo dedicava alla memoria del cardinale Guglielmo Massaia (nato a Piovà d’Asti nel 1809 e morto a San Giorgio a Cremano nel 1889).
Tutti passiamo e ripassiamo accanto all’immagine del famoso missionario cappuccino “apostolo dei Galla”. Gli Oromo (precedentemente noti anche come Galla, termine caduto in disuso in quanto considerato dispregiativo) sono un gruppo etnico africano diffuso in Etiopia e Kenya, ma per i nuovi cittadini sarà utile qualche altra informazione su questo personaggio, quasi dimenticato...

Era stato confessore di Silvio Pellico dopo lo Spielberg e, come cappellano del collegio reale di Testona, confessore di Vittorio Emanuele di Savoia che, divenuto re d’Italia, nel 1870 avrebbe firmato l’ordine della presa di Roma e della soppressione dello Stato Pontificio.

Padre Massaia, ormai vescovo missionario in Etiopia, due anni dopo la conquista di Roma scriveva dall’Africa al suo regale allievo: “… Molte cose si dicono da destra e da sinistra di vostra Maestà, di codesto suo governo, e dell’Italia intera, ma pure io spero… che vostra Maestà, che senza saperlo e forse senza volerlo ha servito sin qui la Provvidenza, la quale agisce sui popoli con dei calcoli che sorpassano le misure delle intelligenze anche le più trascendentali… non dimentichi per carità (i verdi anni) di Testona, dove V. Maestà ancor giovanetto si divertiva con una quantità di anime grandi”, il rispetto per la divina “qualità” del papa e per “le operazioni cosmopolitiche del Suo ministero apostolico”. Effettivamente, lo Stato risorgimentale, pur osteggiando il potere temporale del papa, riconobbe sempre la sua universale missione spirituale.

Tre anni prima di “Porta Pia” il Massaia aveva scritto al Procuratore Generale per le Missioni che l’attacco a Roma “non solo da Garibaldi, ma dal governo italiano” gli “rincrescerebbe, poiché il Santo Padre manca di consiglieri, e di persone d’azione capaci di maneggiare una simile crisi” perché ”molti sotto pretesto di lasciar fare a Dio lasciano anche di fare ciò che pur si dovrebbe, quasi che Iddio dovesse persino mestarci la polenta e darcela fatta… ”Allora finirei per capire la ragione per cui Dio è in collera, e pure sordo a tutte le preghiere dell’Orbe cattolico che geme, e prega in favore di Roma”.

Già nel 1865 aveva scritto al confratello Davide da Pinerolo a proposito della soppressione della Congregazione dei Cappuccini minacciata dal governo italiano “Io conto già più di dieci esilii, e con tutto questo faccio i miei affari nei luoghi medesimi, e penso di fargli anche in avvenire… e quando fosse necessario lasciar l’abito qualche giorno e mutar casa, questo non vi farà meno Cappuccino di prima: quando piacesse a Dio di privarvi degli asili esteriori detti conventi, in qualunque luogo vi radunerete sotto gli occhi dei Superiori, sarete sempre i medesimi Cappuccini, forse ancora più cari a Dio perché più poveri, e spogliati ancora di quel poco che non possedevate civilmente, ma in certo modo canonicamente…”.

La Chiesa ha passato tre secoli senza chiese…” aveva scritto già nel 1864.
Come dire che “la buona lavandaia” non dipende dalla pietra su cui strofina i panni: e che la Chiesa deve convertire se stessa prima di chiederlo agli altri.

I vecchi ricordano che Papa Montini (Paolo VI) nel primo centenario dell’unità d’Italia (1961) ci ha invitato a ringraziare la Provvidenza per avere liberato la Chiesa dal “potere temporale”.
Perciò ringraziamo la Provvidenza per aver tolto alla Chiesa il peso del potere temporale nel 1870, ma la preghiamo di proseguire il lavoro liberandola anche da quello ricostituito nel 1929 e da tutti gli sciagurati concordati e patti lateranensi, con annessi e connessi, che ne impediscono il cammino.

Segnalo inoltre lo studio del Prof. Mauro Forno, "Tra Africa e Occidente. Il cardinale Massaja e la missione cattolica in Etiopia nella coscienza e nella politica europee", Il Mulino, 2009, ISBN 8815133496, 9788815133496.

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