Il diritto negato di piangere la morte di proprio figlio: CarovaneMigranti arriva ad Alba

di Paola Farinetti.

Stasera devo assolutamente raccontare una storia, quella che ho sentito questo pomeriggio e che non conoscevo. CarovaneMigranti ha fatto tappa ad Alba e con lei due messicani e due tunisini e le loro vite complicate. Sono andata ad ascoltarli. Eravamo in pochi e allora voglio farmi portavoce. Raccontatela anche voi dopo che l'avrete letta da me, facciamo un tam tam ...

Alla tv o sui giornali si parla di numeri, di masse informi e senza nome rovesciate sulle nostre coste, c'è chi dice sia un'invasione, che noi abbiamo già i nostri problemi e non possiamo occuparci anche dei loro, ma non si pensa mai -o quasi mai- al fatto che ognuno di loro, ognuno di quei senza nome ha una storia, un passato di ricordi bambini e un groviglio di sogni sul futuro.
Non si pensa mai, soprattutto, che ognuno di loro ha dei parenti, mamme, mogli, figli, fratelli, uno zio amato, un amico del cuore e del dolore del distacco. Oggi io quella storia l'ho sentita incarnata, mi era proprio di fronte, e non posso restare indifferente.

Dei due tunisini, una era una mamma, il vestito lungo fino ai piedi, due scarpe bianche di poco prezzo, il foulard in testa, un volto scuro, solcato dalle pieghe delle rughe, devastato dal dolore, e stretta in mano la foto gigante di suo figlio, partito dall'altra parte del mare il 14 marzo 2011 a trent'anni e da allora sparito, fantasma del mare. Con lui, altri 504 scappati alla rovina delle primavere arabe, stipati in 4 barconi. Anche loro sono diventati fantasmi del mare. Da quel marzo di loro non si sa più nulla, se sono arrivati, se sono morti in mare, se sono in qualche centro o in prigione. Nessuna certezza. Le 504 mamme prima hanno pianto tutte le lacrime che avevano, poi hanno iniziato a prendere coscienza dell'ingiustizia, si sono unite e provano a combattere, ogni giorno, per chiedere verità. Ci sono voci, addirittura, dicono, prove, che in Italia, a Lampedusa o in Sicilia chissà, quei 504 siano arrivati davvero, qualcuno li ha visti in un servizio del TG5, ma nessuno, nessuno, né il governo tunisino, né quello italiano fino ad ora ha detto una parola definitiva, nessun tentativo, anche sbiadito, di risposta. Desaparecidos, una parola che sembrava appartenere al passato, all'Argentina di Videla, e che invece torna ad essere nostra contemporanea. 504 persone non sono poche, più o meno come se sparissero tutti assieme gli abitanti di Castiglion Falletto, eppure non esistono più, neanche "Chi l'ha visto?" se ne occupa.


"Se mio figlio è morto - dice la mamma che non ha più lacrime- voglio saperlo e voglio poterlo seppellire, voglio portargli dei fiori e voglio poterlo piangere come morto". E allora a me viene in mente la tragedia greca di Antigone, della ragazza che ha sfidato il re di Tebe per dare sepoltura a suo fratello Polinice perché i morti vanno rispettati, vanno sepolti e bisogna poterli piangere. Tutti i morti, quelli da questa parte del mare e quelli da quell'altra. Il livello di civiltà di un popolo si capisce anche dal rispetto per i morti.

Io conosco il peso e il mistero della morte, lo conosco bene, niente e nessuno può alleviare il mio dolore, ma sono circondata da persone che quel dolore lo rispettano, lo riconoscono e, per quanto possono o sono capaci, lo accarezzano. 
Quella madre, no. Quella madre, no. Quella madre, no. 
E io mi sento tutto il peso dell'ingiustizia sulle spalle.


Io conosco il peso e il mistero della morte, lo conosco bene, niente e nessuno può alleviare il mio dolore, ma sono circondata da persone che quel dolore lo rispettano, lo riconoscono e, per quanto possono o sono capaci, lo accarezzano. 
Quella madre, no. Quella madre, no. Quella madre, no. 
E io mi sento tutto il peso dell'ingiustizia sulle spalle.

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