Separati in casa. Breve storia di una relazione spezzata: il Tanaro e gli albesi

di Chiara Rapalino.

Invogliati dall’ondata di caldo anomalo (sempre meno anomalo) di sabato 27 gennaio, io e mio marito abbiamo convinto i nostri figli a fare due passi lungo il fiume Tanaro. Viviamo a Roddi da una decina di anni e abbiamo scoperto la bellezza del lungo fiume tra Roddi e Verduno solo pochi mesi prima della costruzione dell’autostrada che ha modificato e antropizzato ancora di più uno degli ultimi rifugi per la biodiversità della nostra zona. Ciononostante i sentieri che costeggiano il corso d’acqua conservano ancora la loro attrattiva selvaggia, se così vogliamo chiamarla, sono un luogo tranquillo e di riconnessione con vari elementi: l’acqua, il vento, il silenzio, gli alberi, le lepri e tanti altri ancora.

Per convincere i ragazzi a togliersi il pigiama e fare una passeggiata con noi abbiamo fatto leva sulla prospettiva che si potessero sporcare, avremmo visto degli animali e avremmo forse costruito capanne.

Superata la centrale abbiamo deciso di percorrere il sentiero più a destra in direzione Verduno, quello che costeggia il Tanaro, e non l’altrettanto suggestivo percorso che accompagna il canale. Dopo pochi metri gli alberi ancora spogli ci hanno accolto, sparsi lungo il sentiero i rametti sono diventati gioco e abbiamo anche avvistato alcune anatre nuotare placide nell’acqua. In potenza potevamo passare un’oretta serena, per altro nella più totale assenza di altri esseri umani, ma è andata diversamente. Dopo circa 200-300 metri di passeggiata si è palesata una vera e propria discarica dinanzi a noi: oggetti gettati apparentemente da pescatori (scatole per esche, scarti vari legati alla pesca ecc.) e molti altri che sembravano essere stati rovesciati in un solo carico da un’automobile (giochi per bambini, vestiti, soprammobili, utensili rotti ecc.).

Nulla di nuovo sotto il sole purtroppo. Questa lettera non fa notizia. Il lungo Tanaro è sempre stato un luogo residuale, poco curato e utilizzato come discarica. Mi sento quasi patetica a scrivere di questa vicenda perché, seppur le campagne di sensibilizzazione siano efficaci e valide per le nuove generazioni, io che sono nata negli anni ’80 sono stata abituata a vedere molti rifiuti solidi scaricati in zone poco frequentate dall’uomo, il mio sguardo è stato esposto con frequenza a questo tipo di spettacolo. Quello dei miei figli molto meno. Per questo ho reputato giusto scrivere e denunciare questo fatto e non considerarlo normalità.

Non è “normale” una società che considera marginale e abbandonato un luogo ricco di vita, un luogo a cui la nostra di vita è legata con un doppio filo. Nel 2019 Gazzetta d’Alba aveva saggiamente dedicato un editoriale sul fiume Tanaro in cui era emerso con forza l’appello di vari rispettabili specialisti e associazioni a riconnettersi con questa area dell’albese dimenticata dal cittadino contemporaneo. Fino agli anni ’70 del Novecento il fiume Tanaro era frequentato, soggettivato e vissuto dalle persone. Adesso a che punto siamo e perché ci siamo allontanati?

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