Dal PNRR i fondi per lo sviluppo territoriale: ma è ciò che occorre davvero?

E’ atterrato in questi giorni, e si accinge a essere discusso dai Comuni dell’area nord-astigiana e della contigua fascia di territorio torinese e alessandrino, un progetto di Piano elaborato dall’associazione Monferrato Excellence che si pone come obiettivo l’avvio di “processi di rivitalizzazione di un territorio oggi marginalizzato” e che dovrebbe trovare le risorse nell’ambito dei fondi del PNRR. Si tratta di un piano complesso e molto eterogeneo, che suscita un’impressione a chiaro-scuri. Contiene, infatti, molti punti condivisibili, la cui realizzazione apporterebbe un indubbio miglioramento dell’assetto territoriale locale. Ma porta con sé anche diverse criticità, molto serie e preoccupanti.

Franco Correggia (Presidente dell’associazione Terra, Boschi, Gente e Memorie), Piero Belletti (Referente per la biodiversità di Pro Natura Piemonte) e Angelo Porta (Presidente del Circolo Legambiente Valtriversa e Vicepresidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta) hanno analizzato a fondo il Piano e redatto un corposo documento che esamina in profondità tutti gli aspetti rilevanti e che è stato sottoposto alla valutazione di molti soggetti esperti in materia. Il documento è stato fatto proprio e sottoscritto da 35 Associazioni, Movimenti e Comitati che ne condividono interamente le tesi e i contenuti.

Volendo sinteticamente evidenziare le maggiori criticità rilevate e ora poste alla discussione di cittadini e amministratori del territorio (potete leggere qui il documento integrale), potremmo iniziare esprimendo sorpresa – e anche disappunto – per la modalità con cui si è giunti all’elaborazione di questo progetto che, potenzialmente, potrebbe incidere in modo organico e strutturale sugli assetti e sul futuro dell’ambito territoriale considerato, ma che purtroppo non è stato preceduto da un dialogo sistematico e da un confronto serrato con la gran parte degli attori sociali, economici, culturali, istituzionali e associativi del territorio. Se ciò fosse avvenuto, il piano sarebbe più rappresentativo delle istanze locali e più significativo in termini di coinvolgimento e di individuazione delle reali esigenze del territorio stesso. Con il metodo seguito, invece, si può generare l’impressione di un prodotto preconfezionato e presentato come “prendere o lasciare”.

Nel progetto (di cui al momento non è chiaro quale sia il soggetto capofila) ricorrono termini e concetti “ecologisti” oggi in voga (sostenibilità, resilienza, economia circolare, ecocompatibilità, qualità ambientale, protezione degli ecosistemi, biomimetica, tutela della biodiversità, conversione ecologica, difesa del paesaggio e dell’identità culturale…), ma contemporaneamente vengono fornite indicazioni che collidono con la protezione dell’ambiente, la conservazione della biodiversità, il mantenimento degli equilibri ecosistemici e la difesa del patrimonio naturale e culturale dell’area.

Tra le principali criticità emerge il tema della gestione del patrimonio forestale e della produzione di energia. Si ricava infatti l’impressione che i boschi del territorio vengano considerati come mere fabbriche di legname, inesauribili self-service di combustibili a buon mercato e biomasse inerti da bruciare. Ovvero come biorisorse illimitate prontamente disponibili da sfruttare per esigenze contingenti di carattere prioritariamente economico, che rischiano di ridursi inevitabilmente in una mera spinta verso “l’incremento della viabilità forestale” (nell’area in esame nient’affatto carente), la “creazione di piazzali per l’assortimentazione del legname”, la proliferazione di “centri di consumo biomasse”, la “vendita di legna da ardere confezionata, carbone per barbecue, paleria”, la vigilanza sulla “espansione incontrollata del bosco”.

Ricorrente poi il generico riferimento a possibili centrali a biomasse da installare nel territorio, che pare oggettivamente incompatibile con la reale tutela di un’area che di tutto potrebbe avere bisogno, ma non certo di infrastutture fortemente impattanti sugli equilibri ambientali e paesaggistici del contesto territoriale.

In diversi paragrafi del Piano si fa inoltre più volte riferimento a presunte (ma a nostro avviso inesistenti) difficoltà di collegamento dell’ambito territoriale in oggetto con le aree urbane di Torino, Chieri, Asti e Chivasso, imputando tale difficoltà in primis alla “compromissione della rete delle strade provinciali” e soprattutto alla “ridotta dimensione delle carreggiate”. Per migliorare l’accessibilità a questo sistema collinare si prevede un “ampliamento del sedime stradale della strada provinciale che unisce Villafranca, Casalborgone e Asti”.

Appare francamente irricevibile l’ipotesi di allargare in modo metastatico (a scapito degli adiacenti terreni agricoli e forestali) un asse stradale caratterizzato da flussi veicolari estremamente contenuti. Le rete stradale esistente necessita di attenta manutenzione e di una gestione adeguata, ma non certo di inutili e incomprensibili ampliamenti e del conseguente insensato consumo di suolo. Oltre tutto al fine anche di “favorire nuovi insediamenti residenziali. Se questa indicazione un po’ ermetica allude alla costruzione ex novo di case, villette e centri commerciali su terreni agricoli o liberi, con ulteriore contributo al consumo di suolo, pare da respingere con estrema fermezza.

Infine, nel Piano si richiama più volte la necessità di costruire una galleria tra Castelnuovo Don Bosco e Capriglio per superare il diaframma posto sotto la Frazione Serra di Capriglio d’Asti. Ciò consentirebbe di raggiungere il cuore del Monferrato da Torino, Castelnuovo o Riva di Chieri con 10/15 minuti di risparmio, facilitando altresì il turismo religioso diretto al Colle Don Bosco”.

La lettura di questo passaggio, all’interno di un Piano che si dice ispirato a criteri di sostenibilità e di rispetto dell’ambiente e del paesaggio, lascia francamente interdetti. Sembra difficile immaginare un intervento più insensato e foriero di esternalità negative. In un mondo che muore di riscaldamento globale (a cui la cementificazione non è estranea), di consumo irresponsabile di suolo, di opere inutili, di urban sprawl e urban sprinkling e di urbanizzazione tumorale polverizzata degli spazi rurali, pensare di bucare una collinetta interposta tra un piccolo paese di campagna (Castelnuovo Don Bosco, 3.000 abitanti) e un microscopico borgo rurale (Capriglio, 300 abitanti) la cui risorsa endogena più rilevante è il mix natura-paesaggio-cultura, appare sotto ogni aspetto incomprensibile.
Traforo, impianti di illuminazione interni ed esterni ad alto impatto paesaggistico ed ecosistemico, soil sealing e stravolgimento dell’assetto territoriale: il tutto per risparmiare 10 minuti di tempo rispetto ai tempi di percorrenza attuali, a fronte di flussi veicolari nell’area assolutamente ridicoli…

Inevitabile, quindi richiedere agli autori e ai coordinatori del Piano “Monferrato Nord – Per un piano di sviluppo territoriale” di prendere in esame le criticità evidenziate nel documento prodotto.
Se vi sarà la disponibilità a valutare con attenzione tali osservazioni e quindi a modificare in modo conseguente e coerente il Piano e i suoi progetti attuativi, riconfigurandoli non in senso cosmetico e palliativo, bensì in termini profondi e radicali nelle parti carenti, inadeguate o contraddittorie, saremo allora certi che la loro realizzazione porterà un sensibile beneficio all’ambito territoriale di riferimento.

Se, al contrario, tali richieste saranno respinte o ignorate, saremo nostro malgrado costretti a dare una valutazione globale fortemente negativa del Piano nel suo complesso e a impegnarci per arginarne i potenziali effetti dannosi.

Il documento di puntuali “osservazioni” al progetto è scaricabile qui.

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