Dalla guerra a pezzi alla guerra globale?

di Pietro Polito.

Sono stato a lungo incerto se dare al titolo di questo articolo l’intonazione di una domanda o di una affermazione. Poi mi sono deciso per la domanda lasciando alle storiche e agli storici del futuro il compito di scogliere il dubbio. Ciò che oggi possiamo dire è che la guerra tra Israele e Iran rappresenta una estensione della terza guerra mondiale a pezzi (Papa Francesco) nella direzione di una guerra mondiale globale per l’inconsistenza degli organismi internazionali, per la debolezza dei movimenti per la pace, per la mancanza di un’opinione pubblica, per l’indifferenza della gente comune, perché ciascuno di noi non avrà fatto la propria parte...

Più in generale non possiamo non constatare che l’Ucraina, Gaza, la guerra Israele-Iran sono la dimostrazione che è stata un’illusione l’aver creduto che l’umanità, dopo il periodo storico successivo alle tragedie della prima metà del XX° secolo, si fosse finalmente “emancipata dalla necessità di ricercare nel volto dell’altro un nemico da combattere”. Anzi, “al contrario, si assiste a un lento arretramento del riconoscimento dell’altro. L’alterità lungi dall’essere accolta, viene sempre più percepita come una minaccia”. Una minaccia globale di cui “i segnali sono così diffusi che non è più possibile ignorarli”[1].

Segnali che invece non vengono compresi nella loro estrema radicalità e negatività come emerge dall’analisi, per fare un esempio, delle reazioni dei quotidiani italiani all’apertura di un nuovo fronte primario di guerra che fa diventare Gaza un fronte secondario e quindi fa scivolare nelle pagine interne la più grande catastrofe umanitaria, politica e sociale dalla fondazione dell’Unione europea ad oggi.

Dall’esame dei titoli delle prime pagine dei quotidiani del 14 giugno 2025, il giorno successivo all’attacco di Israele ai siti nucleari dell’Iran, emergono chiaramente i tre grandi atteggiamenti più diffusi di fronte alla nuova guerra preventiva in nome dell’Occidente: 1. i neutralisti che sono l’area più ampia); 2. i bellicisti che considerano la guerra uno strumento possibile per la difesa dei “nostri” valori; 3. i pacifisti relativi che perseguono la pace attraverso la forza; 4. i pacifisti integrali che perseguono la pace attraverso la nonviolenza e il disarmo. Queste peraltro sono le posizioni di sempre di fronte a ogni guerra.

Sulla linea neutralista si allinea la maggior parte dei giornali. “Corriere della Sera”: “Israele attacca l’Iran: è guerra”; “La Repubblica”, “Israele – Iran, è guerra”; “La Stampa”: “Il mondo trema”; “Il Giorno”: “Un’altra guerra”; “Il Secolo XIX”: “Tel Aviv attacca – l’Iran risponde”; “Il Sole 24 ore”: “Israele e Iran sono in guerra”. (Lascio l’analisi del neutralismo a una futura occasione).

Sul fronte “bellicista”, con una differenziazione nei toni ma in una perfetta sintonia nei contenuti, troviamo “Il Foglio. Quotidiano” e “Il Giornale”. I foglianti scelgono questa apertura: “Dalla parte di Israele contro la rappresaglia dei mullah”, che è anche il titolo dell’editoriale di Giuliano Ferrara che da un improbabile pulpito esalta i difensori della libertà: “Dio perdoni i pacifisti al 110 per cento, Israele non perdona chi vuole assassinarlo. Così si difende l’equilibrio dal terrore e la pace nel mondo”. Per il predicatore del giusto, gli israeliani sono i soli a difendere l’Occidente “con il proprio sacrificio quotidiano[2]. Pertanto, in un crescendo di “fanatismo occidentale”, sostiene che “dovremmo aiutarli, armarli di più di quanto non facciamo, affiancarli e distruggere quel loro nemico. E se non ora. Quando?[3]. Che dire: “Dio, se c’è qualcuno che ascolta, perdoni i bellicisti all’1 %”.

Come si è detto, “il Giornale”, la voce più autorevole della destra, usa toni più viscerali. A lettere cubitali scrive che quella avviata da Israele contro l’Iran (e, aggiungo io, nei vari fronti di guerra aperti dal governo democratico dell’unica democrazia esistente nell’area) è senza dubbio alcuno un “guerra al male”. Si tratta infatti di “un avvertimento in nome della democrazia” nel senso che “la guerra al male è una «guerra preventiva» che sempre guerra è, ma ha il fine di evitarne una ben più ampia e micidiale[4]. Come non leggere il richiamo della foresta nel titolo con cui il quotidiano apre la domenica del 15 giugno: “Forza Occidente”?

Sul fronte “pacifista” inteso in senso generico troviamo: “Il Fatto Quotidiano”, “Domani”, “il manifesto” e “Avvenire”. Per “Il Fatto”, “Israele attacca l’Iran che lo bombarda” e “il terrorista Netanyahu ci mette tutti nel mirino”, trascinandoci un una “guerra totale”. Pure secondo “Domani” è “guerra totale tra Israele e Iran”. Mentre per il quotidiano comunista, Israele risponde a un “ordine di guerra”: “Gli scenari di guerra ci sono sempre più vicini. L’impaccio con il quale politici e media esitano ad applicare al governo Netanyahu le stesse categorie di lettura della politica della legge e della guerra, che usiamo per qualunque altro stato, ci pongono una domanda: perché mai Netanyahu dovrebbe fermarsi, dal momento che fino ad oggi non ha incontrato ostacoli?”[5].

Da laico osservo che la posizione di “Avvenire”, il “quotidiano di ispirazione cattolica”, “è la più prossima a quella delle amiche e degli amici della nonviolenza: “E ancora un’altra guerra”. Il mondo vive “l’ora più buia nel Medio Oriente”, perché, aprendo un “nuovo fronte”, anzi moltiplicando i fronti di guerra, continuiamo a commettere lo “stesso errore”, stupidamente o addirittura “cinicamente (questo è il caso del primo ministro Netanyahu che “è ormai sempre più simile al «dottor Stranamore» del famoso film di Stanley Kubrik”). L’errore è quello di “non capire che lo strumento militare, privo di una prospettiva politica, è solo una crudele esibizione di potenza”[6].

Una esibizione di potenza ancor più crudele e disumana per due ragioni. La prima ragione è che l’esibizione, la manifestazione e l’attuazione della potenza viene giustificata “per garantire la nostra sopravvivenza”, una “tesi francamente bizzarra” perché, scrive Redaelli, “non solo lo Stato ebraico gode di una superiorità totale, ma è anche un Paese che si è dotato clandestinamente di una grande quantità di armi nucleari. E nessuno nella regione ha dubbi sul fatto che Israele queste armi, se minacciato esistenzialmente, le userebbe[7].

La seconda ragione è che l’esibizione, la manifestazione e l’attuazione della potenza viene giustificata con il cosiddetto «regime change», “un mito che si è rivelato pernicioso”: “Dall’Afghanistan all’Iraq, alla Libia, e in un’infinità di contrade, l’idea di dar vita con la forza a sistemi più o meno democratici in sostituzione dei precedenti dittatoriali, ha comportato sforzi bellici immani con risultati tragici. Sempre. Sottolineiamo; senza eccezione alcuna, Ciò che ci ha indotto a rimpiangere, talvolta ad alta voce, le precedenti autocrazie. E, dopo trentacinque anni, questa può essere considerata una lezione definitiva[8].

Come rimane inascoltata anzi viene irrisa la contraddizione tra politica di pace e politica di potenza su cui insistono le amiche e gli amici della nonviolenza quando denunciano che attraverso la guerra si prepara solo nuova guerra. Da un lato la guerra ha perso, se mai l’ha avuta, “ogni retta intenzione”, dall’altro “la guerra terroristica di Stato sta diventando [se non è diventata] sotto i nostri occhi la norma”[9].

Post scriptum

Invio questo contributo al sito del Centro Studi Sereno Regis e a “Pressenza International Press Agency “, la mattina di mercoledì 18 giugno, mentre gli Stati Uniti valutano se entrare in guerra contro l’Iran a fianco di Israele. “Corriere della Sera”: Iran, Trump pronto a entrare in guerra; “la Repubblica”: Iran, Trump, pronto alla guerra; “La Stampa”: “Iran resa incondizionata”; “Avvenire”: “L’Iran si arrenda”; “il manifesto”: Lavoro sporco.

Note

[1] M. Magatti, Il nemico non è l’altro, “Avvenire”, domenica 15 giugno 2025, p. 1.

[2] G. Ferrara, Dalla parte di Israele contro la rappresaglia dei mullah, “Il Foglio”. Quotidiano, sabato 14 giugno 2025, p. 1.

[3] Id., La solitudine di Israele contro un nemico che è anche il nostro nemico, “Il Foglio”. Quotidiano, lunedì 16 giugno 2025, p. 4.

[4] A. Sallusti, Un avvertimento in nome della democrazia, “il Giornale”, sabato 14 giugno 2025, p. 1.

[5] F. Strazzari, Il via libera al fatto compiuto, “il manifesto”15 giugno 2025, p. 6.

[6] R. Redaelli, Nuovo fronte stesso errore, “Avvenire”, 14 giugno 2025, p. 22.

[7] Ivi., p. 22.

[8] Paolo Mieli, Rovesciare i regimi o no?Un errore per cinque motivi, “Corriere della Sera”, domenica 15 giugno 2025, p. 28. Cfr. i commenti usciti lo stesso giorno in vari quotidiani: U. Tramballi, Il cambio di regime e il rischio di una guerra prolungata, p. 1; D. Assael, Una guerra aperta con molte incognite e poche risposte, “Domani!, p. 2; A. Negri, La tigre della guerra ormai è uscita dalla sua gabbia, “il manifesto”, pp. 1 e 6; Domenico Quirico, Israele commette un grave errore. Può cadere il regime, non il potere teocratico, “La Stampa”, p. 10; G. Miclessin, Khamenei trema. Il vero obiettivo è dell’offensiva di Netanyahu? Cambio di regime, “Il Giornale”, p. 12.

[9] Massimo Cacciari, Se il conflitto diventa terrorismo di Stato, “La Stampa”, lunedì 16 giugno 2025, p. 10.

Tratto da: https://serenoregis.org/2025/06/18/dalla-guerra-a-pezzi-alla-guerra-globale/

 

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