di Sergio Labate.
Mio figlio – d’improvviso e senza apparenti motivi – ha deciso di amare il calcio. Non posso far molto: ha sei anni e tutto il diritto di rovinarsi la vita come crede. Ma decisamente non è il periodo migliore per un simile colpo di fulmine. Tra un mondiale che non ci prova nemmeno a nascondere la contraddizione sanguinaria del capitalismo da cui è nato e un’indagine giudiziaria che scopre la presunzione ontologica del discorso del capitalista: rendere il profitto una sostanza più reale del principio di realtà. Eppure, poiché anch’io ci sono cascato da piccolo, rimango affascinato dal modo in cui le espressioni dell’amore calcistico siano cambiate. Perché il calcio non è affatto uno specchio deformato della realtà, è piuttosto uno specchio nitidissimo di una realtà in sé già deformata. Per questo conviene prestargli attenzione: è attraverso questo specchio che possiamo cogliere in modo eminente alcune patologie sociali...